lunedì 27 gennaio 2014

La Liguria che scivola in mare

"C'è un treno che sta penzolando sul mare tra Cervo e Andora": parole dello scrittore Giuseppe Conte a Fahreneit, Radio3, lo scorso 20 gennaio.

Io quel treno l'ho visto con i miei occhi, sabato scorso, 25 gennaio, a poco più di una settimana dalla valanga d'acqua che si è rovesciata sulla Liguria, in particolare sul Ponente, e che lo ha devastato. L'ho visto, quel treno, perché lì dove penzolano i convogli, tra nuvole gialle di mimosa e gli spruzzi del mare, solo qualche chilometro più a ovest, io ci abito. A causa della ferrovia bloccata, di ritorno da un viaggio in treno sono dovuta scendere ad Albenga e, da lì a casa, ho viaggiato in auto, su un'Aurelia insolitamente deserta, serpentone curvilineo brillante sotto un caldo sole di gennaio che sembrava già sussurrare la primavera. La Gallinara nitida, e dietro la corona dell'arco ligure fino a Genova tanto il cielo era terso e il mare azzurro intenso, nitido. La strada scivolava, come sempre, sul costone di roccia a picco sul mare, quel costone che, con troppa pioggia, è sceso giù, scivolato in mare, portandosi dietro - o cercando di farlo, per fortuna senza riuscirci - il locomotore di un intercity. Ora quel biscione di metallo è ancora là, il mare da un lato e la terra franata con un terrazzo in bilico dall'altro lato. Luccicava sotto i raggi del sole, come una striscia orizzontale, argentea, nel fianco della collina.

Una ferita, una ferita al territorio che da sempre, e per sempre, considero e sarà casa mia. Ecco perché brucia più delle altre volte, più dei continui esempi di dissesti ambientali e rovine paesaggistiche che si pescano quotidianamente dai telegiornali. Qui è diverso, e non solo perché ci vivo. E' diverso perché, se quel treno non fosse deragliato, nessuno si sarebbe accorto di nulla, come se l'abusivismo edilizio sulla costa ligure non esistesse. Nessuno avrebbe nemmeno notato che sì, in quel punto lì c'è ancora, inspiegabilmente, il binario unico, sulla linea ferroviaria che collega Italia e Francia. Perché, di solito, quaggiù a Ponente siamo degli sconosciuti: luoghi pittoreschi per le vacanze estive forse, ma nulla più. I problemi, quelli di chi ci vive, non saltano mai all'attenzione del grande pubblico.

E così basta la pioggia ed esplode il caso: cementificazione, infrastrutture, collocazione geografica di un territorio, paesaggio, ambiente, tutela. Un nocciolo duro di tutte queste tematiche condensate, ecco cosa si porta dietro quel treno in bilico sul mare. Il viavai di autorità prosegue, senza che nulla venga fatto e senza che nessuno, ai piani alti, si soffermi a riflettere un secondo su questo: il paesaggio ligure, le caratteristiche uniche di un territorio difficile, plasmato per anni dall'uomo in armonia con la natura, in un dialogo fruttuoso che è ormai estinto da tempo, soffocato da cemento e speculazioni. Eppure Italo Calvino l'aveva già detto, e Marco Preve ci è tornato pochi anni fa. Niente, il silenzio. Che resterà ancora, nonostante il treno e i lavori da iniziare per toglierlo di lì. Una provincia bloccata, disagio per trasporti e collegamenti, ma nessuno, ancora, ci ha pensato: basta un niente, e siamo ridotti così, qui sulla striscia di terra a picco sul mare. Ci frana la collina addosso, gli alberi non tengono, la roccia si sgretola perché sotto non ha più nulla, ci passano le auto. E gli ulivi che verdeggiano, i tramonti dalla cima dei capi sulla costa, i lungomari di palme e scogli? Tutto questo, che pure è meta turistica, che posizione assume davanti a quello scandaloso treno penzolante?

Poco dopo la frase di apertura del post, Conte in radio ha parlato anche della chiesa dei Corallini, che sormonta il borgo di Cervo, case piccole e colorate addossate a formare uno spettacolare promontorio affacciato sul mare di Liguria. La bella e la bestia, la storia e il moderno, il paesaggio curato e quello devastato. Sono contrasti forti, che non dovrebbero passare in secondo piano. Ecco, un po' di riflessione può iniziare da qui, ma non deve finire: vorrei che di Cervo e Andora si parlasse più spesso, e diversamente. Vorrei che fosse una terra "leggiadra" e sorridente nei suoi colori pastello e nelle sue colline terrazzate. Non uno scempio edilizio, non una rovinosa frana che scivola in mare senza possibilità di recupero.

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