Della contrainte


Una certa letteratura novecentesca, nata in Francia, ha fatto della scrittura à contrainte - sottoposta cioè a vincoli e regole ferree - la propria bandiera e il proprio modus operandi. Sottoporre la scrittura a una serie di vincoli per sviscerare potenzialità. Questa era, in breve, l'idea di Raymond Queneau e dei colleghi e amici che lo seguirono nella bizzarra e geniale idea della fondazione di un opificio di letteratura, l'Oulipo (Ouvroir de Littèrature Potentielle), che lavorasse materialmente sulla parola secondo la regola creativa della contrainte. Solo a partire da un vincolo la lingua può esprimere novità, arricchirsi, aggirare l'ostacolo magnificandosi ed esprimendo al meglio la propria ragion d'essere: la creatività, le sue infinite possibilità. La contrainte è una gabbia, insomma, da cui, per la magia del linguaggio, non può che evadere pura letteratura potenziale. Se ancora non siete convinti, pensate al sonetto: una "scatola" poetica che prevede due quartine e due terzine di endecasillabi, le prime a rima alternata, le seconde a rima varia. Eppure, in questo universo chiuso, si sono espressi i più noti poeti italiani, dando vita a capolavori assoluti.

Segno che il vincolo, talvolta, se non può essere aggirato può però produrre i suoi frutti.

Qui trovate approfondimenti sulle strane cose di cui ho parlato:
- l'Oulipo e il suo fratello italiano l'Opleplo
- la scrittura à contrainte spiegata negli articoli di Simona Mambrini e Paolo Albani
E se non vi basta, c'è sempre Wikipedia, dove inserire, per esempio, Raymond Queneau, il cui più noto esempio di letteratura potenziale (cioè à contrainte) è il volume Esercizi di stile. Magari lo avete letto, e se la risposta è no, perché non decidersi a farlo ora?


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